Pavè a Milano a inizio anno ha inaugurato il nuovo spazio produttivo. 400 mq dedicati a pasticceria, pane e gelati

A volte serve uno scossone per diventare grandi davvero. Lo hanno capito anche i ragazzi di Pavè, il salotto hipster di via Casati, a Milano, aperto nel 2012 e diventato un luogo di culto (di loro avevamo scritto anche qui). Ci è voluta la pandemia, con il primo, durissimo lockdown, per smuovere le acque e spingere i tre soci Giovanni Giberti, Luca Scanni e Diego Bamberghi a prendere una decisione: fermarsi, riflettere, immaginare il futuro e cambiare organizzazione per garantirsi spazi di crescita. Gli spazi in questione sono quelli del nuovo laboratorio centrale, in una traversa di viale Monza all’altezza della fermata della metro Turro. «Avevamo tutto chiuso, 35 persone in cassa integrazione - spiega Giberti a Dolcegiornale - e un’azienda artigiana con tre anime completamente ferma». Due pasticcerie con caffetteria, in via Casati e in via della Commenda, una gelateria in via Cesare Battisti e una birreria sempre in Casati ma aperta solo da poche settimane al momento dell’esplosione della pandemia: questo l’assetto di Pavè. «Ci siamo detti: o chiudiamo o rilanciamo. Abbiamo rilanciato. Era il momento di staccarsi dal laboratorio di via Casati, di soli 60 mq, perché crescere così sarebbe stato impossibile».

Un laboratorio centralizzato di 400 mq

La prima riapertura, in estate, ha portato con sè una nuova consapevolezza: «Già riuscivamo, con volumi ridotti, a produrre tutto in via Casati, quindi spostando il prodotto finito verso gli altri punti vendita. Questo ci ha dato il là: abbiamo individuato questo spazio, capito che potevamo accentrare tutto qui, inclusa la produzione di gelato, lo stoccaggio e gli uffici. A novembre abbiamo iniziato i lavori, a fine 2020 era tutto pronto, dopo le Feste siamo entrati, in un momento quasi favorevole perché non eravamo pressati da ritmi alti, viste le nuove chiusure imposte dall’emergenza sanitaria». Dei 400 mq totali, circa 50 sono dedicati alla produzione di gelato, 200 alla produzione di pasticceria e pane. Il resto è magazzino, celle di conservazione, lavaggio, spazi tecnici e uffici. «Abbiamo voluto uno spazio produttivo libero e agile. L’obiettivo è incrementare i volumi e produrre meglio e di più, per altri punti vendita nostri (in pista c’è una seconda birreria nel quartiere Giambellino e l’idea di una seconda gelateria) o per forniture esterne».

L'approccio organizzativo è cambiato

Dove si sente di più la differenza? «Il tema non era il rinnnovo delle attrezzature, perché erano già performanti; solo che erano dislocate in più punti e non avevamo spazio di stoccaggio per il gelato pronto, o per materie prime come il latte e la frutta. Lavoravamo di più nei singoli pdv, ma con molta più fatica». Ora nel laboratorio sono attivi 5 pasticceri, un panettiere, Giovanni stesso, una persona addetta alla produzione del gelato, un lavapiatti. Si comincia alle 4-4.30 del mattino e, grazie ai turni, si chiude verso le 19. L’approccio organizzativo è molto diverso: «Se prima la produzione era al servizio delle esigenze del singolo negozio, ora è tarata sulle due consegne mattutine che abbiamo impostato: non cuociamo più il pane fino alle 10, per esempio, ma alle 6.30 e alle 8.00 dobbiamo farci trovare pronti a caricare le due spedizioni che riforniranno i negozi per l’intera giornata. Vale per tutto, anche per le preparazioni dolci. La sfida vera sta nella particolarità di questo periodo: ogni weekend i flussi nei negozi sono diversi, a causa delle chiusure e riaperture, e i dati storici dei nostri otto anni di attività non valgono più. Ci tocca programmare la produzione in un contesto in cui proprio programmare è difficilissimo. Spesso viaggiamo alla cieca, ma impariamo tantissimo e ci sforziamo di trovare il punto di equilibrio». Si apre un tema: convincere il cliente della qualità di quello che trova nel banco, anche se non c’è più il laboratorio a vista con i pasticceri all’opera sotto gli occhi di tutti. Aggiunge Luca Scanni: «Spiegare che il prodotto è persino più buono, più curato, perché riusciamo a seguirlo meglio non è cosa immediata. Ai tempi dei nostri inizi far vedere il laboratorio era sinonimo di qualità eccelsa. Ora ci rendiamo conto che per dare vera soddisfazione alla domanda - tutta, inclusa quella dell’e-commerce, letteralmente esplosa nell’ultimo anno - ci serve questa struttura e questa organizzazione».

L'intervista a Giovanni Giberti

Come mai si lavora meglio rispetto alla tanto celebrata formula del laboratorio a vista? Perché con gli spazi giusti, le postazioni agevoli e le aree di stoccaggio adeguate si può davvero curare il prodotto molto di più. Aggiungo un elemento: il cliente che sta in negozio e ti guarda è una fonte di pressione in più.

In questa fase così turbolenta, quale occasione di consumo ha sofferto di più? È sparita la pausa pranzo, il che ci ha portato a rivoluzionare l’offerta. Prima proponevamo anche piatti caldi, ora ci stiamo spostando su proposte salate varie e più gestibili come
la pizza romana in teglia. Sempre preparando tutto nel nuovo laboratorio.

Avete voluto più capacità produttiva: su cosa puntate per crescere? Vogliamo spingere sul pane: oltre a venderlo nei nostri negozi stiamo cercando una rete di ristoratori selezionati per fornire loro il nostro pane. Una strada già sperimentata con buoni risultati da altri, come Forno Brisa a Bologna. Altra linea da sviluppare è quella del gelato, anche qui proponendo gusti salati o particolari alla ristorazione o al catering di livello.

Cosa vi aspettate per Pasqua? Lo scorso anno abbiamo deciso di chiudere. Quest’anno, invece, avremo per la prima volta due proposte speciali, oltre alla colomba classica. Storicamente vendevamo 400 pezzi, vorremmo arrivare a un migliaio di colombe.

Questo spazio vi dà la possibilità di potenziare l’e-commerce? Sì, era necessario dotarsi di una produzione strutturata anche per questo. Il cliente pretende qualità da bottega artigianale, ma quando si tratta di ordini online e consegne si aspetta efficienza e capacità di adattamento da multinazionale. I risultati già ci sono: a Natale l’e-commerce ha funzionato bene. Prima del lockdown eravamo pronti con un servizio di delivery “b2b” verso aziende o realtà di certe dimensioni. Con la pandemia abbiamo virato alle consegne consumer: un vero boom, non ce lo aspettavamo. Da settembre abbiamo aperto alle consegne nell’hinterland, intercettando una clientela che già prima veniva a trovarci nei fine settimana.

Ernesto Brambilla

Matiba

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