Due maestri Ampi ci guidano nel mondo del bignè e della pasta choux

La pasta choux è la base di tutte le preparazioni bignè. Anche se è una delle fondamenta della pasticceria, la sua preparazione non è esente dagli effetti dell’innovazione. Lo hanno dimostrato Rita Busalacchi e Maurizio Santin che hanno curato un corso dedicato al bignè in occasione del XXX Simposio Tecnico Ampi, tenutosi in ottobre sui banchi di Alma -Scuola Internazionale di Cucina. Ma partiamo dall’abc. Per bignè (italianizzazione del francese beignet) si intendono dei pasticcini ripieni, dolci o salati, accomunati dalla struttura di base: appunto la pasta choux, che deve il proprio nome all’etimo, sempre francese, chou, cavolo. L’aspetto della pasta, una volta pronta per essere ultimata con farcitura o guarnizione, richiama infatti quello di un cavoletto di Bruxelles, sebbene a seconda della forma del prodotto finale il nome possa cambiare: si pensi all’éclaire, il tradizionale bignè oblungo, la cui denominazione si traduce con la parola fulmine. Pur evidente l’influenza del francese, è all’Italia che si attribuisce la maternità della ricetta: in particolare alla cucina di corte di Caterina de’ Medici, nella Firenze cinquecentesca, dove il cuoco Popelini sfornò per primo quella che in origine era definita pâte à chaud, pasta calda, e veniva in realtà utilizzata come centrotavola.

I consigli di Rita Busalacchi e Maurizio Santin

Solo all’apparenza semplice, il bignè richiede invece un’applicazione profonda, perché come per la totalità delle creazioni di pasticceria, un dettaglio errato può far crollare l’intero lavoro. La pasta choux, base per il bignè, richiede una doppia cottura: la prima avviene sul fuoco, per permettere ai grassi di amalgamarsi ai liquidi (acqua, o acqua e latte). A questo proposito, i due esperti suggeriscono teglia microforata e tappetino microforato: «Sicuramente - spiegano - una delle miglior tecniche inventate negli ultimi anni. Il microforato consente un’ottima conduzione del calore, permettendo al bignè cotture più uniformi, prestanti e asciugature più rapide». E la temperatura di cottura? «È fondamentale - segnala Santin - che sia sufficiente per friggere i grassi, ma non abbastanza da portare i liquidi a bollore», cosa che invece terrebbe gli ingredienti separati. Una volta omogeneo, il composto può essere portato a bollore; fuori dal fuoco si aggiungerà la farina (setacciata, possibilmente, per evitare grumi), si mescolerà velocemente e si riporterà sul fuoco, per ultimare la cottura fino a che il composto non si staccherà dalle pareti della casseruola. Si tratta del cosiddetto polentino, che verrà poi versato in planetaria per aggiungervi le uova (a filo, o metà subito e il resto a filo, così che l’impasto perda velocemente temperatura. L’importante è che il risultato finale ricrei la famosa forma a V).

Quest’ultimo è un passaggio essenziale: se la cottura del polentino è insufficiente, gli amidi non raggiungono una ottimale pregelatinizzazione, quindi non saranno in grado di assimilare le uova e il composto risulterà troppo liquido. «Prima di colare l’impasto sulla teglia - aggiunge Busalacchi - è necessario tenerlo fermo in planetaria per mezz’ora, così che diventi uniforme. Se lo colassimo bollente, la prima teglia avrebbe una struttura, ma le successive, che perdono progressivamente calore, ne avrebbero diverse». La seconda fase di cottura è quella in forno, per la quale si può attingere a diverse tecniche. A caduta, con forno preriscaldato a 260 °C e teglie infornate a distanza di un piano l’una dall’altra: il forno viene spento e riacceso soltanto quando il bignè si sarà sviluppato, ultimando la cottura dolcemente a 160 °C. Ricorda Santin: «Non è necessario controllare che l’interno sia vuoto, perché la farcitura spingerà la mollica e occuperà lo spazio necessario». A doppia temperatura: si infornano i bignè a 200 °C per 5 minuti, dunque si continua la cottura a 170 °C. A temperatura dolce: si infornano i bignè alla temperatura di 150-160 °C fino a cottura ultimata. Il tipo di cottura va scelto in base alla ricetta, al forno e alle proprie esigenze. I bignè possono essere congelati sia crudi che cotti, previo abbattimento. In congelatore resistono fino a 5 mesi.

Ricette creative: le proposte di Rita Busalacchi

Il bigné si presta poi a una ricettazione creativa come hanno dimostrato i Maestri Ampi al simposio. Di seguito vediamo tre proposte particolari della Maestra Ampi Rita Busalacchi.

1. Bignè al caffè

«Creare un bignè al caffè non è facile - annota Rita Busalacchi - perché ogni ospite beve una tipologia di caffè diversa. In questo bignè abbiamo usato dell’espresso nella crema, contrariamente al caffè solubile che si usa solitamente per risparmiare e favorire la standardizzazione. Abbiamo anche utilizzato un latte infuso per una notte ai chicchi di caffè, per estrarre il massimo dall’aromaticità della pianta. È una ricetta elegante che ha sapore ed esalta la materia prima».

2. Bignè Tatin

«Mio fratello - commenta Rita Busalacchi - è celiaco fin da bambino, quindi ho a lungo lavorato per prodotti senza glutine di qualità, come la base di questo bignè», sottlinea la pasticcera. «Nessun addensante o mix preparato, che causano irritazioni gastrointestinali; solo un blend di farine di riso, per conferire la potenzialità di crescita all’impasto. Il ripieno è un omaggio alla mia esperienza francese, una composta di mele rapidissima, con chantilly al mascarpone e vaniglia. Una soluzione semplice ma molto vendibile».

3. Eclaire alla Carbonara

«Sono appassionata di pasticceria salata, perché trovo che la proposta degli apertivi in pasticceria sia piuttosto piatta. Gli stuzzichini devono essere, infatti, sapidi, gustosi per accompagnarsi al bere - spiega Rita Busalacchi -. A tal proposito, la Carbonara è un simbolo dell’italianità: questa éclaire porta il mio tratto distintivo, la crema diplomatica, in questo caso salata, con crema pasticcera e panna. Ovviamente guanciale croccante come guarnizione, e una pasta fillo come unico riferimento al pepe».

Carlo Carnevale

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