La fotografia del settore farine in Italia ha toni non esageratamente colorati, ma è un belvedere comunque. Undici milioni di tonnellate prodotte, un volume sostanzialmente stabile. L’industria molitoria a frumento tenero registra una lieve flessione s

La fotografia del settore farine in Italia ha toni non esageratamente colorati, ma è un belvedere comunque. Undici milioni di tonnellate prodotte, un volume sostanzialmente stabile. L’industria molitoria a frumento tenero registra una lieve flessione sul mercato interno, ma con esportazioni in crescita del 9,8%, anche se solo il 4% della produzione è destinato ai mercati oltreconfine. L’utilizzo di sfarinati per la produzione di lievitati, prodotti di biscotteria, da forno e da pasticceria ha registrato, nel 2018, un incremento del 2,6%. La domanda ha premiato soprattutto le farine per l’uso in pasticceria e, in percentuali meno marcate, quelle destinate ai prodotti per la prima colazione e ai prodotti da ricorrenza.

Laghi: «Quando è vero servizio per il professionista»

La pasticceria è sempre più innamorata di farine innovative e “amiche” delle operazioni in laboratorio. Spiega Stefano Laghi, pasticcere, consulente e docente in Cast Alimenti: «Le farine altamente specializzate per certi tipi di lavorazioni rappresentano un grande servizio per il professionista. Sono le farine specifiche per panettoni, per focacce, per pizza. “Facilitano” quando il professionista sa che il mulino ha lavorato sulle specifiche esigenze di un prodotto. Per esempio, perché la farina sviluppi in senso verticale per un lievitato o in orizzontale per una focaccia, perché sostenga più o meno i grassi contenuti nella ricetta». Non c’è il rischio di affollare il magazzino con troppe referenze? «Certo, va messa in conto una gestione logistica più complessa. Ma ci sta, nel contesto di oggi: se uno non è disposto ad affrontarla, arriva solo fino a un certo punto. L’utilizzo di poche farine generiche è nelle intenzioni di tanti, ma poi quasi nessuno lo mette in pratica. Una pasticceria, per lavorare bene oggi, non può scendere sotto le cinque referenze. Una farina integrale, una per sfoglia, una per croissant, una per frolla, una per panettone è il minimo sindacale». E poi ci sono le esigenze della pasticceria “senza”: «Farine di riso o altri prodotti per intolleranti - prosegue Stefano Laghi -, oggi fondamentali, sono spesso lontane dalle competenze del pasticcere. I mulini hanno lavorato molto su questo, e possiamo affidarci a blend selezionati dai professionisti della molitura».

Di Carlo: «Poche referenze, ma buone»

Di tutt’altro avviso è invece Leonardo Di Carlo, pasticcere di fama e consulente per diverse realtà del settore, che sposa la filosofia della semplicità: «Poche referenze, una farina forte, una debole e una integrale, insieme a tanto studio bastano al pasticcere per tutta la produzione». Sulla necessità di una farina specifica per i grandi lievitati, invece, il coro è unanime. Andrea Tortora utilizza la farina di Molino Pasini, riposata in ambiente controllato, per il suo panettone. «Una farina normale riposa tre-quattro settimane, questa fino a sette-otto. Il periodo in più a temperatura e umidità controllate conferisce a questo prodotto una struttura sostenuta. Permette di ottenere una performance di altissimo livello, sostanzialmente diversa da quella che si può avere con un ottimo prodotto che non ha, però, avuto questo lungo periodo di maturazione. La farina riposata supporta meglio i grassi incorporati e non fa cedere l’impasto. Permette inoltre di avere un grado di acidità ottimale».

Bertolini: «Solo emulsionanti naturali»

Anche Laghi conferma: «Con quello che è diventato oggi il panettone, con un carico di grassi e farcitura spesso sempre più importanti, serve una farina che sappia sostenere il tutto a dovere». C’è poi il mondo dei mix per pasticceria. Francesco Bertolini di Casa del dolce (Cologna Veneta, Vr), ha chiuso l’anno con circa 350 quintali di panettoni prodotti. «Si tratta, semplicemente, di una scelta: noi utilizziamo i prodotti di Braims, la farina con latte in polvere e zuccheri e il lievito madre liofilizzato. L’aiuto deriva dalla stabilità, dalla sicurezza che aprendo il forno non si troveranno sorprese e anche dalla semplificazione del processo produttivo, che così è meno esposto alle variabili ambientali o al comportamento del lievito madre fresco. Finché il prodotto non contiene conservanti o additivi, ma solo emulsionanti di origine naturale in quantità minime, non mi pare giusto demonizzarlo».

Polito: «Partecipiamo alla molitura e alla selezione»

Pasquale Polito, una delle due anime di Forno Brisa a Bologna (assieme all’amico e socio Davide Sarti), si colloca all’estremo opposto: «L’innovazione vera è la partecipazione alla conoscenza, e questo vale anche nel campo delle farine, il che significa far partecipare i panificatori al processo molitorio. Non certo per trasformarli in mugnai, ma perché il professionista possa capire tutto della filiera». Forno Brisa ha una filosofia piuttosto audace nella produzione: «Ignoriamo le schede tecniche, perché prima di tutto vogliamo provare, testare davvero le potenzialità della materia prima». I “breaders” possiedono un campo in Abruzzo, seminato a miscuglio evoutivo, e nel 2018 il 35% della produzione di pane è stata ottenuta con il grano di proprietà. Per tutto il resto, vanno a caccia di grano in giro per l’Italia. Il loro “maestro” Davide Longoni (titolare dell’omonimo panificio milanese) si è comprato qualche ettaro di terreno non lontano dalla proprietà del forno bolognese. Terreno incolto perché non produceva alcun reddito. Certo, non è da tutti, anche per la complessità della cura, ma si può ragionare con delle partnership con aziende agricole. «Coltivare e utilizzare delle farine con rispetto - prosegue Polito - non significa evitare la tecnologia. Il nostro grano passa dal Consorzio agrario dell’Emilia e subisce trattamento alla Co2 anti insetti, analisi accurate, stoccaggio con modalità moderne. Tutto ciò che serve perché quello che diventa farina sia perfetto».

Iannantuoni: «Tempo, delega e conoscenza»

«Individuo tre parole chiave, quando parlo di farine “di servizio”», spiega a Dolcegiornale Mauro Iannantuoni, che dal laboratorio di Ernst Knam è passato a lavorare da quello di Davide Longoni. «Sono queste: tempo, delega e conoscenza. Immaginiamo una farina per frolla che contenga già un ingrediente disidratato, come i mirtilli. L’artigiano non dovrà fare ricerca, trovare i mirtilli, disidratarli e incorporarli nella farina. Tempo risparmiato. Poi, quale necessità ha il nostro artigiano di semplificare i processi in laboratorio delegando a collaboratori meno esperti? Infine, il fattore conoscenza: tutte quelle operazioni, le sa fare? E, in seconda battuta: se smette di farle, aiutato dal semilavorato, quanto perde in conoscenza? Non sono un fan dei semilavorati e non li uso, perché mi piace l’idea di studiare direttamente il comportamento della materia prima, ma credo che la scelta stia nelle risposte a quelle domande».
Da profondo conoscitore delle dinamiche di una bottega di pasticceria, Iannantuoni aggiunge una considerazione: «L’innovazione dà un valore aggiunto se è raccontabile al cliente. La pasticceria deve poter spiegare al suo cliente che cosa sta vendendo, ed è un aspetto importantissimo, perché è una attività che vi- ve del contatto quotidiano con chi entra nel negozio. Cosa usi, come lo usi, cosa diventa? Se l’innovazione nella lavorazione di una farina promette risultati top, ma è difficile da tradurre in racconto, conviene farsi delle domande».

Knam: «Una frolla integrale con due obiettivi»

«Per il pane usiamo farine di grano duro e grani antichi e il mondo dolce non ha ancora tutta la conoscenza per inserirle. Vogliamo dare un gusto ancora più particolare a una frolla proprio sfruttando la farina? Perché non usare un blend, magari con grano antico e farina tipo 1. Dovrò capire come bilanciare per arrivare a frolle con farine che non siano solo di tipo 0 e 00». Qui rispunta la lezione del maestro: «La torta Antica, che Ernst Knam ha creato e che considero l’invenzione “che avrei voluto fare io”, ha una base di frolla integrale, marmellata di lamponi e ganache al cioccolato. Un dolce che coniuga perfettamente una parte grezza, con una farina più rude, e la nota acidula. Voglio andare in quella direzione, per creare un’idea di forno con pasticceria e panetteria che non deve sembrare di secondo livello rispetto alla pasticceria tradizionale». Lo stesso Ernst Knam, titolare dell’omonima pasticceria milanese, afferma: «Negli ultimi anni abbiamo assistito a una ricerca sempre più focalizzata sulle farine da parte di produttori, pasticceri e lievitisti, che stanno mettendo a punto prodotti sempre più tecnici e performanti. La farina per un dolce è fondamentale, quindi questa ricerca sulle materie prime è molto positiva, soprattutto se va di pari passo con l’attenzione per le problematiche alimentari (intolleranze al glutine e similari) che oggi si stanno diffondendo sempre di più. Per la mia torta Antica ho infatti messo a punto una frolla integrale cercando di sfruttare questi due aspetti: una migliore resa e un occhio di riguardo a un aspetto salutistico».

Ernesto Brambilla

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