Il pasticcere siciliano dello stellato Heinz Beck e direttore della scuola Mag fa il punto sul dessert da ristorazione. Dove si torna alla tradizione, ma con un nuovo look

PALERMO. Un generale con l’umiltà di un soldatino, è la prima impressione che mi ha fatto Giuseppe Amato, capo pasticcere del tristellato ristorante La Pergola a Roma. Impressione che poi l’intervista ha confermato. L’ho incontrato a Palermo, dove gli è stato affidato il prestigioso ruolo di direttore della Mag (Accademia di alta specializzazione in gelateria e pasticceria) e dove ho avuto la fortuna di assaggiare la sua cassata, fatta con le sue mani sotto i miei occhi. Non era la consueta fetta di torta, ma un dolce al piatto, diverso d’aspetto ma che al palato richiamava quel sapore così noto. Per trasformare la regina delle torte siciliane in un dolce al cucchiaio perfetto, Giuseppe ha posto al centro del piatto un bisquit al pistacchio contornato con spuntoni di chantilly di ricotta ovina. Su questi ha poggiato pezzetti di arancia candita e ha coperto il bisquit con spuma di mandorle. Sopra ha sistemato uno strato di marzapane spolverato di pistacchio, una tuille al cioccolato, zucchero a velo e pezzetti di polpa di arancia all’azoto. Da siciliano ho assaggiato innumerevoli cassate, ma stavolta ho gustato la sublimazione di questo dolce, proiettato nella dimensione della leggerezza, senza tradirne l’identità.

Pasticceria da ristorazione, lo stato dell'arte

Dopo quell’assaggio - il miglior biglietto da visita che potessi desiderare - Giuseppe ha cominciato a parlarmi di sé, e ne ho approfittato per fare con lui il punto sulla pasticceria da ristorazione. Per lui, nato e cresciuto a Taormina, dove i grandi alberghi erano ogni giorno a portata di sguardo, le cucine di quei luoghi mitici rimanevano un sogno proibito. Per questo ha deciso, come tanti suoi conterranei, di prendere la via del continente. Giovanissimo ha cominciato a lavorare come pasticcere nelle cucine del Grand Hotel del Parco di Pescasseroli, dove è rimasto per sei stagioni lavorative, alternandole con stage in Europa: a Londra da Ducasse, ad Alicante da Torreblanca, a Girona al ristorante El Celler De Can Roca, a Barcellona, all’Espaisucre. Poi è passato alla cucina de La Posta Vecchia di Palo Laziale e infine alla Pergola del Rome Cavalieri Waldorf Astoria, dove è tutt’ora. Sul finire dello scorso anno è stato insignito del prestigioso riconoscimento Meilleur Patissier 2021 dall'associazione francese Les Grandes Tables du Monde.

L’intervista a Giuseppe Amato

Com’è lavorare al fianco di Heinz Beck? Altamente formativo. Ora è anche facile, perché ho imparato a conoscere lui e la sua cucina. Heinz è un tedesco dal cuore italiano che fa una cucina mediterranea, non a caso ha sposato una siciliana. Dopo 16 anni di collaborazione posso dire di conoscere lui e la sua filosofia, so cosa fargli provare e di solito le mie proposte gli vanno bene.

Come è il dolce da ristorazione perfetto? Deve essere buono da mangiare e bello da vedere, non troppo grasso né troppo dolce. Sembra facile, ma coniugare queste cose è difficile. In seconda battuta possiamo dire che dovrebbe essere il più possibile un’opera d’autore e quindi identificare chi l’ha fatto.

Qual è un suo dolce identitario? Il Cannolo 2.0, una mia interpretazione del cannolo siciliano che ho trasformato in dolce al cucchiaio. Benché sia irriconoscibile alla vista, quando l’assaggiano tutti immancabilmente individuano il cannolo. La base è costituita da uno streusel al grué di cacao che cita la scorza croccante del cannolo e allo stesso tempo evoca le gocce di cioccolato inserite nella ricotta. La base è poi ricoperta da una chantilly di ricotta e su tutto metto una cornucopia di zucchero tirato, che riprende lo zucchero a velo immancabile su ogni cannolo, piena di spuma alle mandorle. Infine, spolvero con cannella, come si usa fare nel messinese.

Quali le tendenze nel mondo dolce? I tempi del cambiamento a tutti i costi sono trascorsi. Ora si sta gradualmente tornando alla tradizione, anche se della forte ondata innovativa è rimasta una maggiore attenzione all’aspetto del dolce e l’introduzione di nuovi ingredienti come ortaggi e frutti esotici. L’innovazione ci vuole, ma il gusto per la tradizione torna sempre.

E nel caso specifico del dolce da ristorante? Io coinvolgo il cliente nella realizzazione del dolce. Non è una cosa facilissima da fare perché chi è seduto al tavolo si aspetta il dolce pronto. Ma dopo il primo momento, in genere il cliente si lascia convincere.

Un esempio? Invio al tavolo una scatola con tutti gli ingredienti già dosati per fare il tiramisù. Insieme c’è uno stampato con le istruzioni per la procedura. Ovviamente il cliente personalizza il suo dolce e il risultato è sempre diverso. Funziona!

Martino Ragusa

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here