Stefano Roccamo, patron della gelateria Stefino di Bologna, apre a Roma il primo Lab e pensa anche ad espandersi

Un modello riproducibile ovunque e da chiunque. È questa l’idea innovativa di Stefano Roccamo, pluripremiato maestro gelatiere di origini romane, ma da tempo trapiantato sui colli bolognesi. Qui ha il suo laboratorio, dove produce il suo gelato da 3 coni Gambero Rosso, 100% biologico, con grande attenzione all’ambiente e alla sostenibilità, oltre che alle esigenze di vegani e celiaci. La prima gelateria Stefino nasce a Bologna nel 1998. Pochi mesi fa Roccamo ha deciso di partire con uno Stefino Lab su Roma e se non fosse intervenuta la pandemia il suo piano di espansione sarebbe stato più corposo. Lo stesso progetto romano ha avuto un contraccolpo, dal momento che la gelateria avrebbe dovuto essere aperta dal mese di aprile, ma il lockdown ne ha ritardato l’inaugurazione a fine luglio.

Da Bologna a Roma con Stefino Lab

Lo Stefino Lab di Roma è solo negozio, non c’è laboratorio, ma tutto si regge su due macchine per il gelato Frigomat GX8, ognuna da 8 pozzetti. La particolarità è che la macchina è la stessa per mantecare e per tenere refrigerato il gelato nei pozzetti, da cui viene direttamente prelevato per finire in coni e vaschette. Diversi i vantaggi di questo sistema. Il prodotto viene spedito nella capitale con invii settimanali e l’operatore deve solo finalizzarlo ed eventualmente aggiungere qualche ingrediente solido, come nel caso della stracciatella o delle nocciole nel gusto gianduia. Questo consente di avere un operatore non particolarmente specializzato: «C’è un responsabile della produzione - afferma Roccamo - che viene formato soprattutto a gestire la macchina, ma ricevendo il prodotto già pronto non deve essere un maestro gelatiere. Poi c’è un vantaggio qualitativo, perché la distribuzione avviene attraverso buste congelate da 3 chili di miscela pronta che, rispetto a quelle in polvere, permette di limitare i trattamenti termici e la lavorazione, così da mantenere intatte le proprietà nutritive e organolettiche delle materie prime».

Un format replicabile

Last but not least, questo di Stefino Lab è un modello facilmente replicabile, che in prospettiva, spiega il mastro gelatiere: «Consentirebbe di mettere su scala una piccola rete di gelaterie, con un prodotto di qualità sfruttando la possibilità di un laboratorio centralizzato in cui seguo personalmente la produzione». Non solo altre gelaterie a marchio Stefino Lab, ma anche semplici corner all’interno di altri locali. Qualcosa bolle in pentola, ma Roccamo non vuole sbilanciarsi, specialmente per scaramanzia. Anticipa solo che manterrà alcuni elementi di food design con cui ha “rinfrescato” il marchio in occasione dell’apertura romana, con la collaborazione di Francesco Subioli del collettivo “I Food designer” di cui fanno parte Paolo Barichella, Ilaria Legato, Mauro Olivieri, Marco Pietrosante e Francesco Subioli. Il logo con la firma, innanzitutto, che serve a sottolineare l’artigianalità del prodotto. Poi c’è la scelta dei colori sgargianti, in contrasto con la moda delle gelaterie tutte a tinte pastello: un elemento che torna sia nel logo che nell’arredamento del locale, dove spicca il bancone arancione. In questo caso il giudice supremo per Roccamo è stato il figlio, all’epoca undicenne: «La mia è stata una scelta istintiva, che ha dato peso al fatto che un bambino è privo di preconcetti, inoltre ci aiuta a dare un messaggio più pop, che ci fa uscire dalla seriosità e dall’integralismo con cui mi approccio al prodotto». Infine, un elemento pratico di food design da replicare: il menu basato su magneti graficizzabili intercambiabili. «È una soluzione pratica per risolvere il problema di cambiare i nomi dei gelati rapidamente, dal momento che abbiamo un’ampia varietà di gusti, che ruotiamo continuamente»

L’intervista a Stefano Roccamo

Stefano Roccamo
Stefano Roccamo, titolare di Stefino

Quali sono i vantaggi della centralizzazione del laboratorio? Riesco a garantire il prodotto personalmente e che tutta la filiera sia 100% biologica e sostenibile. Non faccio ricorso neanche a quel 5% di ingredienti tollerati: per mia scelta non uso nessun ingrediente non certificato e per quanto possibile sostengo i produttori locali o il mercato solidale.

Qualche esempio? Ad esempio il latte, che arriva da una stalla a 6 km dal laboratorio, che viene pastorizzato in laboratorio da me. Per i prodotti che arrivano da lontano, il caso simbolo è il baobab, che usiamo come addensante dei sorbetti e che prendiamo in Senegal, nel rispetto sociale e del territorio.

Avete una linea per vegani e celiaci? A parte i sorbetti, adatti a tutti, abbiamo anche una linea di creme vegan, per le quali uso un riso integrale veneto che è fatto germogliare per estrarne il “latte” di riso. L’ho preferito al “latte” di soia, perché nostrano, con un valore alimentare migliore e non è Ogm.

Fate attenzione anche all’ambiente? Dal 2008 usiamo coppette e cucchiaini biodegradabili. Da quest’anno anche vaschette per l’asporto in biopolistirolo, un prodotto di origine vegetale.

Alessandra Tibollo

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