E se la contemporaneità non fosse altro che la sintesi di tradizione e innovazione, di ricerca e fantasia? Apparenti dualismi che nei fatti sono poli meno opposti di quel che sembri all’apparenza? La storia dell’azienda Guido Gobino racconta (anche) qu

E se la contemporaneità non fosse altro che la sintesi di tradizione e innovazione, di ricerca e fantasia? Apparenti dualismi che nei fatti sono poli meno opposti di quel che sembri all’apparenza?

La storia dell’azienda Guido Gobino racconta (anche) questo. Un’azienda di una certa storia - nel 2014 ha festeggiato i suoi primi 50 anni di vita - nata nella città italiana che è la capitale del cioccolato, e dunque insitamente collocata in quel casellario detto “tradizione”. Eppure, negli ultimi 30 anni - da quando Guido Gobino ne ha preso le redini - è un concentrato di innovazione e di continue sorprese.

Basta assaggiare alcuni dei prodotti ideati con fantasia in questi anni. Dal Maximo +39, temperato a mano come una volta, senza latte e con +39% di nocciole Piemonte Igp (icona del gianduiotto perfetto), al cremino al caramello, fino al Tourinot n. 10, l’ultimo nato per festeggiare i dieci anni della bottega di via Lagrange. Ma l’innovazione parte da più lontano. Nasce a monte del prodotto finito, della pralina che sconvolge le papille del consumatore. È una filosofia. Come quella del “from bean to bar” - dalla fava (di cacao, ovviamente) alla tavoletta - oggi tanto di moda, ma che in Italia ha avuto proprio Guido Gobino tra i pionieri. La bottega di via Lagrange, nel cuore della Torino sabauda, che festeggia i dieci anni, è proprio l’ultimo anello di questa catena. Oggi l’azienda gestisce internamente tutto il processo di lavorazione del cacao, dalla tostatura alla raffinazione che, pur adottando tecniche moderne e meccanizzate, rimane sostanzialmente un lavoro manuale, da vero artigiano. Sì, il gusto contemporaneo è sintesi di tradizione e innovazione. È l’insegnamento di Guido Gobino, di questi ultimi dieci anni della sua storia.

L’intervista a Guido Gobino

Oggi la formula from bean to bar è di moda. Dieci anni fa molto meno. Come è cambiato in questo lasso di tempo il mondo del cioccolato italiano?

È cambiato in meglio. Ci sono più attori, più appassionati al cioccolato, e molti pasticceri si sono trasformati in cioccolatieri. A un mondo piccolo come quello del cioccolato fa bene che che ci sia un gruppo di artigiani eccellenti che si spendono per portare innovazione. Però questa rincorsa al bean to bar la trovo fin ossessiva. Non è un modello da seguire a tutti i costi, perché occorrono alle spalle struttura, competenze e capacità, anche economiche.

Guido Gobino significa innovazione. Cosa dobbiamo aspettarci ora?

Da quando sono entrato in azienda, nel 1985, ho sempre lavorato con fantasia e tanta ricerca. Questi sono i segreti dell’artigiano, che vanno abbinati alla consapevolezza del buon gusto. A volte si cerca il mai visto, il sensazionale. Ma non dobbiamo mai dimenticare lo stile. Dunque, continueremo su questa strada: innovazione e fantasia, certo, ma sempre all’insegna del buon gusto.

Raccontaci il nuovo nato, il Tourinot n. 10

È un cioccolatino fondente prodotto con la tecnica dell’estrusione - ovvero i cioccolatini sono prodotti uno a uno, senza stampi - nel quale la morbidezza della gianduia e delle nocciole incontra la potenza del fondente. La nota fondente è molto intensa, e non contiene grassi aggiunti, se non l’olio di nocciola Piemonte e il burro di cacao.

Qual è la tua invenzione a cui sei più legato?

Il Maximo +39. Un gianduiotto che ha una connotazione molto artigianale e al tempo stesso frutto di grande innovazione. Un gianduiotto dal gusto moderno.

Oggi Torino è capitale del gusto. È anche merito tuo?

È merito di un sistema che negli ultimi 20 anni ha lavorato molto bene. C’è stata la volontà di rinnovare e presentarsi con un’immagine fresca e pragmatica. Torino è proprio questo: un luogo dove si respira cultura.

Alessandro Ricci

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