I requisiti su cui noti brand hanno costruito il proprio successo possono essere modelli di business. Ma per l’artigiano è meglio partire dal punto vendita

Se al concetto di personalizzazione ci fermiamo al pensiero della torta di compleanno con il nome scritto sopra, stiamo parlando di un meccanismo rodato della pasticceria. La personalizzazione di un prodotto o di un’esperienza di acquisto per il cliente è tecnica vecchia come il mondo, potremmo dire uno degli elementi fondanti del commercio, certamente un consiglio buono per le prime pagine del manuale del bravo commerciante. Solo il ricordarsi il nome del cliente e le sue preferenze, cosa che un tempo era la norma per il negozio tradizionale, è un buon esempio di personalizzazione del rapporto con le persone. Negli anni, causa la standardizzazione dei formati commerciali e delle procedure operative, unita alla costante enfasi sulla variabile tempo, il concetto di personalizzazione si è perso e l’artigiano è diventato sempre più simile alla distribuzione moderna. Il cliente trattato come un pezzo in catena di montaggio, il rapporto con lui un’attività da liquidare nel più breve tempo possibile senza eccezioni, al limite estremo da considerarsi quasi una seccatura. Ma a sorpresa negli ultimi 10 anni la personalizzazione è ritornata di grande moda, sulle ali del più ampio fenomeno della creazione di esperienze di acquisto e consumo per il cliente finale. Una strada intrapresa anche da grandi brand “dolci”, che hanno creato casi di grande successo, collegati a concept store di nuova generazione. Sì perché, a parte rari casi, personalizzare vuol dire farlo davanti al cliente, in un luogo fisico che ha una customer experience con caratteristiche nuove e inaspettate. Quali sono le caratteristiche comuni di tutti questi casi? E quali sono le opportunità o le difficoltà di applicazione per un artigiano?

Tecniche di marketing esperienziale

La personalizzazione come tecnica di marketing esperienziale ha alcune precise caratteristiche. Prima di tutto, è applicabile a prodotti e brand legati a una grande notorietà e memoria collettiva. Quelli che il consumatore conosce da sempre e che spesso sono nati con un pubblico oggi più maturo, ma che attraversano il tempo e le generazioni senza nessuna difficoltà. Quelli - e si tratta di un punto fondamentale - che per almeno due motivi necessitano di un riposizionamento rispetto ai nuovi significati di consumo. Infatti, che si parli del panettone o di un gelato, la situazione di partenza è sempre la stessa: un prodotto di grande valore emozionale ma che nel tempo, causa la perdita di identità dei canali distributivi (la grande distribuzione e il bar “generico”) non riesce più a intercettare i nuovi trend esperienziali del mondo food. Prodotti ad alto investimento di comunicazione per le aziende, ma che poi non vengono valorizzati dal canale, che spesso le stesse aziende non controllano direttamente, utilizzando distributori terzi. Oppure, in termini ancora più drammatici, i punti di vendita chiudono e la marca deve entrare in campo per avere un contatto diretto con il mercato. Da qui l’esigenza di rilancio, anche temporanea e spesso secondo la tecnica “dire a suocera perché nuora intenda” (lo faccio per il consumatore, ma sto lavorando anche perché il messaggio passi al canale). Poi, il prodotto - oltre a memoria e vissuto condiviso - deve essere iconografico nella forma, nella ricetta, nel packaging con dei distinguo non secondari. Sulla Nutella è possibile lavorare sulla personalizzazione della confezione/etichetta e poco o nulla sulla ricetta, mentre su un gelato come il Magnum la ricetta personalizzata fa la differenza, mentre la forma del prodotto è data. Nel caso di Magnum, parliamo di una lavagna bianca o nera (marrone) perfetta per essere personalizzata con i topping. Ne consegue quindi un’altra caratteritica: il prodotto/brand deve avere insite caratteristiche di declinabilità, quindi possibilità di personalizzazione per il cliente.

Personalizzare si, ma senza distruggere l'identità di un prodotto

Detto in altro modo, personalizzare il prodotto non vuol dire distruggerne identità o gusto così come, al contrario di quanto si pensi, la “personalizzazione” non è infinita ma “finita” come numero di alternative proponibili al cliente. Tutti i casi di successo legati alla personalizzazione amplificano e valorizzano l’esperienza del prodotto secondo un compromesso di alternative tra il percepito del cliente e le esigenze operative ed economiche del brand. A livello teorico le granelle per il topping - sempre nell’esempio del progetto My Magnum - avrebbero potuto essere un numero infinito; invece erano 15, studiate apposta per andare incontro alle esigenze del cliente. In più, erano segmentate in tre categorie: le fashion (prodotti inaspettati come i petali di rosa), le DOP (come il pistacchio di Bronte), le creative (granella di macarons). E ancora: i grandi casi di personalizzazione sono quasi tutti legati a un tema più ampio di personalizzazione dell’esperienza di acquisto, e non del solo prodotto. Per esempio, per My Magnum o per Bar Meraviglia Sanpellegrino (il progetto di “temporary bar” avviato nel 2017), si ricordano sempre i prodotti o le ricette personalizzabili, ma si dimentica che l’intero customer journey era personalizzato per il cliente: dai vassoi al ruolo dei Pleasure maker (il personale che assisteva il cliente nella personalizzazione del gelato), fino all’assortimento sempre diverso dei bicchieri per i soft drinks nel temporary bar. La personalizzazione è un’esperienza complessa fatta di molti dettagli e “rotonda” nella sua esecuzione. Spesso le condizioni di cui all’elenco di cui sopra non si verificano in toto o in parte, quindi la personalizzazione non ha senso compiuto per i consumatori finali, è banale, irrilevante o mal declinata. E poi, se questa è la realtà dei grandi brand dell’industria dolce, il ventaglio delle possibilità per l’artigiano è decisamente più stretto.

Fidelizzare in negozio, la sfida per gli artigiani

Un modo di introdurre la proposta di personalizzazione in pasticceria è presto spiegato, e non riguarda la creazione di una vera esperienza di consumo nel negozio - non sarebbe possibile, è bene chiarirlo sin da subito. È una opportunità concessa dalla tecnologia, che permette di unire esperienza cliente - digitale, però - e necessità di standardizzare il processo. Stiamo parlando delle torte customizzate via web. Le ha introdotte da poco la pasticceria Casa Manfredi a Roma (di cui abbiamo parlato anche qui) che ha varato un menu digitale per comporre la torta personalizzata, mediante il quale il cliente sceglie i 5 strati (base, 2 strati interni, mousse e glassa), ciascuno disponibile in 3 opzioni differenti. Non è il solo esempio: altre pasticcerie, come La Pasticceria di Filippo di Lucca, testano questa modalità da qualche anno.Tornando a una esperienza fisica, c’è l’esempio delle yogurterie e gelaterie che offrono topping e guarnizioni a scelta per dare valore a un prodotto di base semplice.Al di là dei singoli casi, per riassumere e consigliare un approccio agli artigiani rispetto al tema della personalizzazione, potremmo dire che gli esempi tratti dall’industria sono lontani o irraggiungibili. La personalizzazione è una filosofia commerciale insita nel negozio artigianale e da praticare quotidianamente e con costanza. Il cliente vuole dall’artigiano un’esperienza personalizzata, un mood di coccole, un tempo di qualità. Prima e oltre i prodotti acquistati e consumati. Quindi c’è molto da lavorare sulla formazione del personale e sull’identità del negozio. Serve la consapevolezza - imposta anche dalla crisi Covid - che il negozio sia una piattaforma di vendita oltre che un laboratorio, uno “spazio” commerciale dove il cliente sceglie (questa è già in qualche modo personalizzazione) la sua esperienza di vendita, sia essa prendere un prodotto da un frigo a libero servizio, comporre una scatola di macaron o ritirare il dolci ordinati online.

Dalla brioche con farcitura "on demand" fino ai dolci street food

Restando fermi sulla personalizzazione legata a un’esperienza di acquisto di prodotto o alla modifica di una ricetta, già oggi la pasticceria ha delle opportunità e dei limiti oggettivi all’utilizzo di questa tecnica. È personalizzazione la farcitura davanti al cliente delle brioche o di altri prodotti, ma la differenza si fa sulla varietà e sulla innovazione delle farciture. Lo è avere confezioni predisposte per “spazi” (3/6/12 macarons, per esempio) piuttosto che per peso; è ancora personalizzazione la possibilità di comporre una coppa di gelato scegliendo gusti, topping, decorazioni, formato. Una torta fatta su misura come da richiesta del cliente, e magari con l’ordine raccolto online - è ancora personalizzazione. Più attenzione sui prodotti come i grandi lievitati: il laboratorio artigianale può ampliare la gamma, ma non imitare una iniziativa come il “panettone personalizzato” lanciata quest’anno da Bauli, per esempio. Oppure la personalizzazione è il fulcro di un’idea e un progetto nuovo per l’artigiano, che determina un concept di negozio - o parte di esso - dedicato a questa nuova esperienza di acquisto. Ma non è facile avere l’idea buona e saperla declinare. Un ambito ancora poco frequentato in Italia, ma con buone prospettive di sviluppo, è quello dei prodotti dolci di impulso. Take-away o, per semplificare, il dolce street-food, magari piccole porzioni di dolci iconici rivisitati e parzialmente personalizzabili, che una pasticceria potrebbe proporre da un corner dedicato. Insomma, gli spunti non mancano, bisogna lavorarci su.

 

 

Ernesto Brambilla

Mattia Distaso

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