Senza il dolce, non è festa. Ma la domanda è: abbiamo un dolce per ogni festa? La risposta è facile: certo! Più interessante, però, sarebbe soffermarsi a ragionare su due questioni. La prima: ho davvero un dolce per ogni possibile ricorrenza? E poi: è

Senza il dolce, non è festa. Ma la domanda è: abbiamo un dolce per ogni festa? La risposta è facile: certo! Più interessante, però, sarebbe soffermarsi a ragionare su due questioni. La prima: ho davvero un dolce per ogni possibile ricorrenza? E poi: è il “mio” dolce o un dolce come tanti altri? La tradizione culinaria italiana vanta un ricchissimo patrimonio di dolci che appartengono alla nostra storia, diversi da festa a festa, da campanile a campanile, da famiglia a famiglia. «Le possibili strade sono da un lato reinterpretare il dolce della tradizione, dall’altro dar vita a un'usanza del tutto nuova - spiega Mauro Adami -. Sul primo fronte, si può lavorare su nuovi formati, come le scomposizioni, le monoporzioni, i nuovi packaging, o creare rivisitazioni della ricetta originaria per renderla più contemporanea e in linea con i gusti attuali».

Tutto il contrario dello snobismo tipo “visto che lo fanno tutti, io non lo faccio”. Un atteggiamento che spesso si rivela un boomerang: «Per due motivi - dice Adami -. Primo: se c’è una domanda di un certo dolce, chi la ignora perde opportunità di business a vantaggio dei propri concorrenti con meno “puzza sotto il naso”. Secondo, è come se si rinunciasse a confrontarsi con le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria storia. In sintesi: una grande opportunità sprecata». Ma la vera sfida, quella che in prospettiva dà maggiori soddisfazioni, è farsi promotori di una nuova tradizione. «Le possibili fonti di ispirazione possono essere molteplici - afferma Mauro Adami -: si può puntare a valorizzare un ingrediente locale di eccellenza, rendendolo protagonista del dolce, ispirarsi a una storia locale non ancora “sfruttata” in chiave culinaria, o ancora ripescare memorie condivise cadute in disuso o dimenticate. Creare un nuovo dolce, identificativo di un luogo o di una festa locale, che incorpori valori veri, ben raccontati e altrettanto ben confezionati, può dare grande lustro a una pasticceria. E creare una fama capace di durare negli anni».

 

L'intervista a Mauro Adami, wedding designer, global stylist ed event planner di Domo Adami Events.

Parlando di dolci della tradizione, il pensiero corre alle feste di paese: occasioni da sfruttare o “concorrenza sleale”, come spesso vengono vissute?

Ogni evento capace di portare per le strade e le piazze un numero di persone superiore al normale, magari provenienti anche da altri paesi o addirittura altre regioni, è un’occasione propizia. La vera domanda da farsi allora è: come posso sfruttarla al meglio? Per una pasticceria, occasioni di questo tipo vanno vissute come una grande opportunità per farsi conoscere. Una sorta di vetrina promozionale naturale da sfruttare al meglio.

Qualche suggerimento in merito?

Primo: esserci. Anche se normalmente in quel giorno sono chiuso. Restare chiusi sarebbe come pensare di uscire dal negozio quando entrano i clienti. Lo fareste mai?

Secondo: mettere il vestito della festa. Addobbando la mia vetrina per l’occasione, mettendo in evidenza il dolce tipico della ricorrenza o dedicando tutta la vetrina alla ricorrenza stessa. Un modo per dare importanza alla festa e a se stessi contemporaneamente.

Terzo: diventare a vostra volta un pezzo della festa, un punto di animazione, un luogo da visitare. Visto che queste feste in buona parte si svolgono all’aperto, l’ideale è pensare un modo per uscire dalla propria vetrina e “invadere” la strada o la piazza. Che diventa fondamentale soprattutto per chi non si trova nelle vie interessate dai grandi flussi di persone.

In che modo?

Per esempio si potrebbe pensare a un carretto mobile addobbato con i colori, lo stile e l’insegna della pasticceria, che proponga le proprie “creazioni di passeggio” ideate per la festa. Visto il crescente successo dello street food, perché non lanciare l’idea dello street cake? Cos’è, in fondo, il gelato? 

 

Andrea Mongilardi

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