Dal racconto di Clara e Gigi Padovani all’interpretazione della pastry chef Sara Tosto: ecco i segreti (e gli abbinamenti perfetti) per questi dolci storici

Quando si parla di Piemonte si pensa subito a grandi vini, ma anche a dessert storici. Ne sono un esempio il bonèt, il giandujotto e i baci di dama. Gli esperti Clara e Gigi Padovani insieme con la pastry chef del ristorante di Villa La Bollina di Serravalle Scrivia, Sara Tosto, hanno ripercorso le tappe storiche legate a questi dolci. In più, per valorizzare un'altra produzione simbolica della regione, hanno giocato ad abbinare a ciascun dessert le diverse etichette prodotte da Grappa Libarna.

Giandujotto

Chiamato giandojòt in piemontese, questo cioccolatino fatto di cioccolato e pasta di nocciole si presenta con la forma inconfondibile di barca rovesciata. La sua pasta è nata a Torino nel 1806 ad opera dei cioccolatai della città durante il blocco economico ordinato da Napoleone per i prodotti dell'industria britannica e delle sue colonie. I pasticceri dell'epoca dovettero sostituire l'ormai costosissimo cacao con la nocciola tonda gentile delle Langhe, che era più economica e facile da trovare. La ricetta originaria del giandujotto era composta da cacao, acqua, zucchero e vaniglia. Vent’anni più tardi il maestro cioccolatiere Michele Prochet, in società con Caffarel, perfezionò la ricetta, aggiungendo le nocciole tostate e macinate finemente. Questo cioccolatino innovativo fu anche il primo ad essere incartato singolarmente ad opera di Caffarel.

Il debutto del giandujotto di Caffarel risale al carnevale del 1865, durante i festeggiamenti della maschera torinese Gianduja. Persone così mascherate distribuivano il cioccolatino per le strade della città. Da questo episodio i cioccolatini Caffarel presero il nome di giandujotti. Secondo i Padovani, l'abbinamento perfetto è con la Grappa Bianca Cristallo: morbida, nata da un blend di purissime acquaviti di vinaccia, è giovane e aromatica, sprigiona profumi di fiori freschi.

Baci di dama

Originari della città di Tortona, i baci di dama nacquero circa un secolo fa. Sono composti da due calotte di pasta unite dal cioccolato. Il risultato estetico ricorda due labbra unite in un bacio. Tuttavia, sulla città di origine di questo dessert ci sono diverse teorie. Infatti, secondo un'altra versione riportata in un libro del 1933, i baci di dama sarebbero nati a Novi Ligure per mano del pasticcere Auguro Manelli. In seguito al suo trasferimento a Tortona e grazie all'incontro con Vercesi e Zanotti, il dolce divenne famoso e, con esso, anche la sfida sui natali contesi dalle due città vicine. C'è anche una leggenda che ammanta di regalità l'origine dei baci di dama. Si dice che siano nati dalla fantasia di un cuoco di casa Savoia nel 1852, dietro richiesta di Vittorio Emanuele II di assaggiare un nuovo dolce.

Esistono numerose varianti di baci di dama, tra cui i torinesi Umbertini, ripieni di cioccolato. Ma da Lamezia Terme ad Alassio, a cambiare è il ripieno. Ai baci di dama ben si abbina la Grappa di Barbera e Dolcetto Riserva: strutturata e complessa, è ottenuta da uve Barbera e Dolcetto invecchiate in barrique di rovere francese per almeno 18 mesi.

Bonèt

Il bonèt (detto anche bunèt) è uno dei dolci più antichi della tradizione dolciaria piemontese. Partendo dal mix di cioccolato e rum, oggi è presente in qualunque ristorante della regione. Le sue origini risalgono a un tempo in cui il cioccolato era sconosciuto in Europa. Il bonèt nasce tra le Langhe e Monferrato attorno al XIII secolo e veniva servito a conclusione di sontuosi banchetti medievali. All'epoca era fatto senza cacao, pertanto si presentava bianco. Si usavano latte, uova, amaretti e zucchero. In seguito, con l'arrivo del cioccolato dalle Americhe, l'impasto si è scurito e oggi il bonèt si è guadagnato l'etichetta di Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Il rum è arrivato in epoca moderna, andando ad arricchire la miscela di latte, zucchero, amaretti e uova.

Il suo nome sta a indicare un cappello o berretto tondeggiante, simile alla forma dello stampo a tronco di cono basso in cui veniva cucinato questo budino. Lo stampo, solitamente di rame, era chiamato bonèt ëd cusin-a, ovvero “cappello da cucina” o “berretto del cuoco”. Un'altra interpretazione vuole che l'appellativo di cappello sia collegato alla posizione del dessert, cioè alla fine del pasto, come conclusione – quindi cappello di tutto ciò che si era mangiato.

Al bonèt si può abbinare la Grappa di Barolo Riserva: prodotta da sole vinacce di uve Nebbiolo provenienti dalle Langhe del Barolo, è frutto di un lungo invecchiamento di almeno 18 mesi, 12 dei quali in tonneaux e gli altri 6 in barrique di rovere francese.

Bignè

Anche se non originari del Piemonte, anche i bignè si sposano molto bene con le grappe della regione. La pasta choux, utilizzata per fare i bignè, fu creata a Firenze nel XVI secolo ad opera del cuoco Penterelli, al servizio di Caterina de' Medici. Successivamente, la pasta choux si diffuse in Francia, dove fu usata per preparare i bignè. Grazie all'estro di Jean Avice e Marie-Antoine Carém, si iniziarono a farcire i bignè con crema pasticcera, chantilly, guarnendo la montagnetta di pasta con caramello o cioccolata. Da qui ebbe origine anche il profiterole.

Ai bignè, che Tosto ha farcito con zabaione e crema chantilly, i Padovani abbinano la Grappa di Moscato Barricata: gusto dolce e aromatico, è invecchiata per 12 mesi in barrique di rovere francese.

Cenni storici su Grappa Libarna

Grappa Libarna, marchio di proprietà del Gruppo Montenegro dal 1999, inizia la sua storia ispirandosi all'antica città romana rinvenuta tra Arquata Scrivia a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria. Dalle caratteristiche di questo insediamento prende ispirazione la Distilleria Gambarotta quando, nel 1906, viene presentata Grappa Libarna in una bottiglia che ricorda la forma di capitelli delle colonne romane.

Stefania Leo

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