MILANO. È della fine del 2016 la notizia che Conpait, la Confederazione Pasticceri Italiani che riunisce circa 20.000 operatori, ha illustrato la necessità del riconoscimento normativo della professione di pasticcere e della relativa formazione in un d

MILANO. È della fine del 2016 la notizia che Conpait, la Confederazione Pasticceri Italiani che riunisce circa 20.000 operatori, ha illustrato la necessità del riconoscimento normativo della professione di pasticcere e della relativa formazione in un dibattito svoltosi nella cornice del Senato della Repubblica. Da questa iniziativa è nato, a gennaio 2017, un tavolo istituzionale per mettere a punto una proposta di legge che individui, fra l'altro, un preciso percorso formativo professionale per diventare pasticceri.

Il pastry chef manager deve avere una competenza professionale a tutto tondo

Tutto questo per dire che da parte dei professionisti del settore è ormai chiara l'urgenza di dare un riconoscimento ufficiale al loro mestiere, a tutt'oggi ancora privo di leggi che ne disciplinano formazione e qualifiche. Al momento, infatti, non esiste un percorso unico e riconosciuto ufficialmente per diventare pasticceri. Una minoranza di istituti alberghieri hanno attivato opzioni all'interno dell'indirizzo di cucina per arrivare alla maturità con una formazione specifica nel campo della pasticceria, ma comunque non rilasciano un diploma di pasticciere. Quale corso scegliere, dunque, per seguire le proprie aspirazioni o migliorare la propria professionalità?

Per chi ha compiuto 18 anni, la strada già segnata è quella di iscriversi a un corso di formazione professionale presso enti, spesso privati, accreditati dalla Regione: impegnativi per durata, hanno un complesso di materie e argomenti che sono stati accettati dalla Regione di competenza come necessari e sufficienti, hanno un tirocinio professionale e un esame finale.

Vero è che negli ultimi anni abbiamo visto crescere a dismisura l’offerta formativa e proliferare corsi di ogni tipo. Alcuni di altissimo livello e, altri, che durano poche decine di ore, costano poche centinaia di euro e permettono all’allievo di intraprendere velocemente la strada professionale del lavoro e di aprire un’attività, tanto più che gli unici obblighi che mette la legge per aprire una attività di pasticceria sono una struttura a norma, un certificato Sab (ex Rec) e il certificato di Haccp per la manipolazione di alimenti e bevande.

Viene però spontaneo chiedersi: si può diventare pasticcieri in 40, 80 o anche 100 ore? «In 80 ore non si diventa nemmeno aiuto pasticceri», dice Dario Mariotti, business developer di Cast Alimenti, che organizza un corso di alta formazione professionale della durata di 16 settimane di lezioni tra aula e laboratorio, per un totale di 600 ore, seguite da 3-4 mesi di stage. «Dà basi molto solide che il mercato ci riconosce - afferma Mariotti - e che permettono di entrare nel mondo del lavoro a tutti coloro che vogliono imparare o perfezionare il mestiere del pasticcere, acquisire abilità manuale e comprendere gli aspetti organizzativi e gestionali di un laboratorio e di un'attività imprenditoriale».

Per frequentare questo corso occorrono 11.900 euro + Iva (22%). Inoltre, bisogna iscriversi con molto anticipo, visto che i posti per il 2017 e per i primi due corsi del 2018 sono già esauriti.

«La pratica in tre mesi non si impara», ammette Matteo Berti, direttore didattico di Alma, che organizza sia un corso di tecniche di pasticceria per principianti di circa 200 ore e costa 3.660 euro Iva inclusa, sia un corso superiore di 7 mesi (3 mesi e mezzo aula, 3 mesi e mezzo di stage presso pasticcerie ed esame finale) al costo di 10.797 euro Iva inclusa -. «Noi cerchiamo di lavorare su preparazione etica e professionale - sottolinea Berti -, il primo obiettivo è insegnare non tanto a fare, ma a saper fare».

Insomma, dare delle basi da cui partire per costruire un percorso personale. Anche la scuola Etoile Academy di Tuscania (Viterbo) propone corsi a diversi livelli, tra cui uno intensivo di pasticceria di 3 mesi rivolto sia a chi ha concluso la scuola alberghiera, sia ai principianti. «Cerchiamo di preparare i ragazzi su tutto quello che gli può capitare - dice Emanuela Borsieri - ma anche di far loro acquisire velocità, precisione: esperienze anche brevi forniscono competenze molto alte. Tutti possono diventare pasticcieri se hanno una forte passione e la manualità giusta. Però occorre anche onestà nel cercare di valutare e selezionare l'allievo prima dell'iscrizione, perché il corso è impegnativo dal punto di vista del tempo e del denaro e la nostra missione è farli entrare nel mondo del lavoro».

Terminata scuola, corsi e stage, gli aspiranti pasticceri sono pronti per il mondo del lavoro? «Da nessun corso e da nessuna scuola si esce pasticcere finito - afferma Angelo Principe, insegnante corsi di pasticceria dell'Ipseoa Carlo Porta di Milano -. Ai miei ragazzi ricordo sempre che, una volta diplomati, hanno di fronte a sé molta strada da fare». E comunque, precisa Principe: «Nessun corso di 100 ore potrà mai insegnare quello che i ragazzi apprendono in 3 anni di scuola alberghiera».

Alla fine, dopo tutto il tempo, il denaro e l'impegno investiti nella formazione, un lavoro da pasticcere si trova? L'80% di chi frequenta i corsi Alma trova un'occupazione dopo un mese. Anche l'80% dei giovani allievi di Etoile Academy ha un immediato riscontro dopo lo stage curriculare.

Per il pasticcere-imprenditore, l'aggiornamento continuo deve riguardare non solo l'arte della pasticceria, ma anche la gestione, come fa notare Dario Mariotti, business developer Cast Alimenti: «In Italia, c'è una straordinaria mortalità delle aziende: ogni anno chiudono 13mila imprese e ne aprono 8mila nuove. C'è bisogno, dunque, di una quota di professionalità e  di un surplus di managerialità perché l'attività spesso è solo stagionale. Inoltre per stare sul mercato occorre aggiornarsi sulle mutate esigenze dei consumatori, per esempio, in tema di intolleranze e allergie».

Intervista a Federico Anzellotti, presidente Compait (Confederazione Pasticceri Italiani).

Federico Anzellotti, presidente Conpait

Perché Conpait si è attivata per richiedere una normativa che disciplini la figura professionale del pasticcere e ne definisca il percorso formativo?
Per esempio, per regolare l'apertura e la gestione delle pasticcerie. In Francia o Belgio occorre un titolo qualificante o due anni di esperienza. In Italia, oggi chiunque può aprirne una, anche senza formazione o qualifica adeguata.
Il percorso formativo del futuro deve partire dagli istituti alberghieri, ma poi deve definire i titoli professionali e culturali dei livelli superiori, fino alla Maestria.

A che punto è la discussione della vostra proposta?
A gennaio si è riunito per la prima volta un tavolo istituzionale. Ci siamo dati come orizzonte temporale il 2018, dopo non ha più senso parlarne. Il mondo là fuori si sta muovendo. Il made in Italy ha molto appeal all'estero e c'è richiesta di pasticceri italiani, ma l'Italia al momento non tutela la nostra professionalità.

Quali sono le difficoltà che si incontrano in Italia?
In cinque anni sono cambiati tre ministri e ogni volta abbiamo dovuto ricominciare daccapo. Anche i presidi degli istituti alberghieri sono molto attenti e aperti. Qualche resistenza si incontra invece tra gli insegnanti degli istituti alberghieri, che dovranno rimettersi in gioco e prendere un titolo abilitante per l'insegnamento della pasticceria.

Qual è il significato del recente accordo di Conpait con Cast Alimenti?
Entrambi abbiamo i numeri e l'esperienza per dire quel che secondo noi va fatto in tema di formazione, sia a livello base, sia per l'alta specializzazione. Anche perché in Italia, in questo momento storico, c'è un proliferare di scuole e corsi imbarazzante sotto il profilo sia della quantità sia, a volte, della qualità. Per questo vogliamo mettere dei paletti. L'accordo riguarda la formazione di base. Abbiamo iniziato con un corso di formazione ai formatori. L'obiettivo è arrivare a fornire una formazione omogenea per quanto riguarda metodi e programmi.

Giuseppe Amato, tanta gavetta per arrivare al top e restarci

Giuseppe Amato, pastry chef La Pergola di Roma
Insalatina di frutta di Giuseppe Amato

ROMA. Siciliano di Taormina, classe 1981, Giuseppe Amato lavora come pasticcere da ormai vent’anni. Grinta, sacrifici e determinazione per arrivare in cima alle stelle, sul roof top dell’Hotel Rome Cavalieri, che ospita il ristorante tristellato La Pergola. E, anche se la Michelin ha cucito i suoi macaron sulla giubba dello chef Heinz Beck, parte del successo è merito di colui che da 13 anni fa parte di una delle partite più critiche per un ristorante: la pasticceria.

Oggi pastry chef, Giuseppe Amato è entrato alla Pergola giovanissimo, come stagista. Nel suo cv un diploma alberghiero e tanta gavetta: «Ho iniziato negli alberghi da battaglia, di quelli da 4-500 coperti a sera», dice. Poi la voglia di crescere l’ha portato a Ladispoli, all’hotel La Posta Vecchia Relais & Chateaux, dove ha conosciuto sua moglie, maître d’albergo. Con lei un biglietto per Londra, dove ha lavorato allo Spoon Restaurant di Alain Ducasse, esperienza dopo la quale ha preso il coraggio di scrivere ad Heinz Beck per chiedere un lavoro. Da lì una collaborazione che è diventata un sodalizio.

«Bravo gliel’avrò sentito dire due volte in 13 anni, ma ci sono tanti piccoli segnali da cui capisci che c’è apprezzamento da parte sua». Saranno le origini teutoniche, ma Beck è uno di quei professori severi da manuale. Tuttavia, come racconta Amato, quando diventi responsabile di un reparto capisci perché lo chef si pone in quella maniera: da un lato c’è la responsabilità di lavorare per una clientela top, dall’altra c’è l’essere al comando di una brigata. Proprio le aspettative della clientela e l’estrema attenzione che necessita un tristellato, dove non sono ammessi errori, rendono La Pergola relativamente poco aperta alle novità: «Ogni nuovo dolce che entra in carta è di per sé una soddisfazione, perché non sono molte le nuove idee che arrivano sulle tavole dei clienti».

Alla base c’è la pasticceria tradizionale, spiega, perché senza le basi non si va da nessuna parte, ne è un esempio il suo “Cannolo a modo mio”, entrato in carta da qualche mese, di cui Amato è particolarmente orgoglioso perché lo riporta alla sua terra, la Sicilia. Poi c’è la voglia di innovare anche con le verdure per esempio, come il pre dessert al finocchio, con crema di panna alla vaniglia e una granita di mela verde. Amato è anche formatore: insegna e dirige la scuola A tavola con lo chef. Fa inoltre parte del collettivo Pass 121 ed è uno dei cinque pastry chef entrati nell’Ampi. «Facciamo parte della stessa famiglia - aggiunge - perché le basi e le tecniche che utilizziamo sono le stesse, ma abbiamo esigenze diverse. I pasticceri da laboratorio devono creare dolci che resistano diverse ore sul banco, noi possiamo giocare di più con le consistenze, con le temperature e dobbiamo stupire con la presentazione».

MILANO. Dallo scorso marzo nei migliori ristoranti d’Italia si può leggere una nuova targa, quella che attesta che la carta del dessert è curata da un Maestro Ampi  - Associazione Maestri Pasticceri Italiani.

Questi i nomi, alcuni molto noti, dei nuovi accademici:
Giuseppe Amato, Ristorante La Pergola del Rome Cavalieri di Roma;
Domenico Di Clemente, Ristorante Four Seasons di Firenze;
Fabrizio Fiorani, Ristorante Bulgari a Tokyo;
Carmine Di Donna, Ristorante Torre del Saracino di Vico Equense (Na);
Andrea Tortora, Ristorante St.Hubertus del Rosa Alpina Relais & Chateaux di S.Cassiano in Badia (Bz);
Gabriele Vannucci, Ristorante Castel Monastero a Monastero d’Ombrone (Si). Parole di apprezzamento sono arrivate da Iginio Massari, presidente onorario e fondatore di Accademia Maestri Pasticceri Italiani.

Iginio Massari, Maestro Pasticcere e presidente onorario Ampi

In una nota alla stampa si legge: “I ristoranti di altissimo livello erano alla ricerca di un riconoscimento autorevole dei professionisti che curano la carta dei dolci e hanno trovato nell’associazione l’interlocutore e il soggetto di riferimento per il settore Pasticceria di alta qualità in Italia. Ampi e tutti gli Accademici ne escono sicuramente arricchiti, il confronto sulla tecnica e sulle materie prime impiegate per realizzare i prodotti di pasticceria da banco con quelle tipiche dei dessert al piatto espressi serviti al ristorante daranno luogo a contaminazioni e confronti i cui frutti saranno visibili presto”.

Ma, è corretto chiedersi, qual è il percorso formativo più adatto?
Dai corsi di pasticceria escono persone pronte per entrare in laboratorio, ma non c’è formazione specifica per chi trova lavoro nei ristoranti, dove pure c’è un’alta richiesta sia di commis sia di figure intermedie. Parola di Daniele Bonzi, chef pâtissier del Four Seasons Milano e cofondatore del collettivo Pass 121, che raccoglie pasticceri professionisti impegnati nella ristorazione.

Daniele Bonzi, coordinatore collettivo Pass 121

«Il lavoro nella ristorazione è completamente diverso dalla realtà del laboratorio e richiede “più fantasia, flessibilità e apertura mentale”. Anche chi è formato in maniera perfetta dal punto di vista tecnico può bloccarsi nell’ambiente frenetico della cucina, dove la carta cambia spesso, bisogna lavorare in velocità, a volte improvvisare, gli spazi sono limitati, gli orari diversi. Preferisco prendere ragazzi che hanno meno preparazione tecnica, ma più voglia di buttarsi».

Senza contare che nel ristorante spesso capita di dover dare una mano a un’altra partita della cucina. «La nostra visione non è limitata alla pasticceria - conclude Bonzi -. Noi cerchiamo di far capire che il lavoro di pasticcere al ristorante è un mondo diverso e divertente, richiede tanti sacrifici che però vengono alla fine ripagati». «Non è vero che le scuole, private o pubbliche, non formano pasticceri capaci di inserirsi nel duro mondo del ristorante. I corsi di Alma sono severi, insegnano anche la disciplina - incalza Matteo Berti, direttore didattico di Alma -. Gli allievi della nostra scuola devono rispettare regole e orari rigidi proprio perché devono avere un’idea di quello che li aspetta nel mondo del lavoro». Obiettivo raggiunto, secondo Berti, visto che meno dell’1% degli allievi abbandona lo stage che è parte integrante del corso superiore di pasticceria. «Cerchiamo - conclude Berti - di conoscere le attitudini dell’allievo e di indirizzarlo, sempre comunque inserendolo in situazioni dove c’è un pasticciere che possa seguirlo».

Flavia Fresia

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