Come nasce un cavallo di battaglia e come evolve? deve trattarsi di una creazione originale? I consigli di sei maestri

Dove vai, se il dolce simbolo non ce l’hai? Da nessuna parte, a sentire molti maestri della pasticceria italiana. Un dolce che leghi con immediatezza pasticcere e prodotto nella percezione del cliente serve, eccome. Aiuta in una logica commerciale, apre la strada all’effetto best seller, rende immediatamente identificabile l’opera di un grande artista del dolce. Non basta a “fare” la pasticceria, ma è difficile immaginare di poterne fare a meno. Il vero interrogativo è come costruirlo. Abbiamo interpellato alcuni dei nomi più forti della pasticceria italiana, per scoprire come la via al dolce forte e identitario possa essere tracciata in modo molto personale. Sorpresa: il tema è più ampio di quanto si possa pensare. Perché la pasticceria è fatta di invenzioni e di evergreen, ossia di grandi classici della tradizione che hanno vita quasi eterna, e anche un evergreen di estrema semplicità può diventare il marchio di fabbrica di un operatore, a patto di studiarne bene la genesi, di capirne i punti di forza, di saperlo far evolvere con misura e pazienza - quest’ultima si traduce soprattuto in test e assaggi continui, nella chiamata in causa di colleghi esperti per attivare un circuito di confronto fruttuoso. Lo racconta Giovanni Cavalleri, che ha lavorato per 15 anni attorno al suo cannoncino. Per farlo, appunto “suo”, fino a trasformarlo in un dessert al piatto e in una prelibatezza salata molto originale. Lo spiega Ernst Knam, che ha elevato a mito la disarmante semplicità di una mousse ai tre cioccolati. Fino a farla evolvere in cioccolatini, in versioni light o in un lievitato con cioccolati scovati in giro per il mondo.

La riconoscibilità di un best seller

Reinterpretare e far evolvere un dolce è operazione che necessita rispetto e cautela, come ricorda Paolo Sacchetti. Non si illude il cliente, quando gli si promette una ricetta classica. Però al contempo va stupito con ritocchi misurati, un lavoro di fino portato avanti nella esile zona di confine tra il vecchio e il nuovo - magari toccando solo forma e decorazione senza stravolgere tutto. C’è poi un altro capitolo, ed è altrettanto corposo. È quello di chi può godere dei frutti di un dolce talmente solido da essere diventato un monumento alla propria filosofia di pasticceria. Come le Pesche di Prato dello stesso Sacchetti o le torte iconiche di Fabrizio Galla e di Alessandro Servida, o ancora la Venere Nera di Roberto Rinaldini. Dolci che hanno il dovere di rimanere uguali a se stessi, negli anni. Che fanno della loro riconoscibilità il punto di forza di tutta la pasticceria. Che raramente incontrano difficoltà persino quando tocca lavorare su un parametro chiave come il prezzo. «Nessuno mai ne ha fatto una questione», ci ha raccontato più di un maestro interpellato. Quello che deve evolvere, di sicuro e indipendentemente dalla forza iconica di un dolce, è l’approccio commerciale. L’insieme, cioè, di elementi di contorno e presentazione del dolce; le attenzioni verso il cliente che lo conosce e lo compra, ma che può risultare ancora più invogliato da un’estetica più accattivante o da una coccola particolare. Sia il nostro dolce un frutto del genio del pasticcere o di una meticolosa opera di affinamento di un classico, questa è la sintesi particolarmente riuscita di Fabrizio Galla: «Quando lo comprano, devono rimanere strabiliati».

I PROTAGONISTI

Roberto Rinaldini - Rinaldini, Rimini

«I dolci classici sono sempre una certezza per il pasticcere. Prendo come esempio la Diplomatica: quando i miei clienti la acquistano spesso mi dicono “oggi non la fa più nessuno”; noi invece nel fine settimana, e solo in un negozio, ne vendiamo 180 porzioni. È una ricetta molto nota che a mio parere si può attualizzare, ad esempio lavorando sulla struttura o gli aromi del pan di Spagna o sulle creme. Altro esempio, la Saint-Honoré, dove ci sono tre elementi chiave che non possono mancare: la pasta sfoglia, la panna e i bigné caramellati; per il resto ci si può sbizzarrire. Io ad esempio alla panna aggiungo una parte di mascarpone, per dare maggiore consistenza alla parte cremosa. Si può anche fare un lavoro più evidente agli occhi del cliente, magari cambiando la forma o la decorazione del dolce. Il tutto senza mai perdere di vista il fatto che si tratti di una innovazione con un senso anche dal punto di vista imprenditoriale e non solo innovativo o creativo. Bisogna lavorare con mano leggera anche sui dolci più rappresentativi di un artigiano, quelli che diventano davvero un’icona del brand. Penso ad esempio alla mia torta Venere Nera: nel momento in cui una specialità ti rappresenta, piace e vende, non va cambiata. O meglio, si cambia se c’è una ragione: ad esempio per aumentarne la masticabilità o aggiungere sapidità a una crema, mentre sulla parte decorativa ci si può sbizzarrire. Questa torta inizialmente era decorata con cerchi di cioccolato, che nel trasporto potevano rompersi; due anni fa, avendo anche la tecnologia necessaria, ne ho cambiato la decorazione, creando la silouhette della Venere Nera, impreziosita in oro, il che l’ha resa ancora più unica». M.B.

Giovanni Cavalleri - Pasticceria Roberto, Erbusco

Si può prendere un evergreen assoluto della pasticceria del Nord Italia, il cannoncino, e farlo proprio. È lo sforzo che ha fatto Giovanni Cavalleri: «Il cannoncino nel bresciano è la mignon per eccellenza, sin dagli anni ‘60 e per molto tempo è stato una delle poche se non l’unica mignon. Un prodotto da sempre molto ricercato in negozio». Quindici anni fa Cavalleri inizia un percorso di studio e test. «Ho analizzato e rivisto tutti i passaggi. Per realizzare un cannoncino servono una sfoglia di altissima qualità e una crema alla pari. Soprattutto, serve fare delle scelte. Io ho voluto un cannoncino con una sfoglia che ha il 50% di burro - contro un “normale” 30% - la quale necessita di essere lavorata con maggiore cura, in ambiente a temperatura bassa. Ho voluto assottigliare il più possibile, per conferire leggerezza al cannolo, ho scelto un foro di entrata molto ampio, circa 2 cm di diametro su un cannoncino di 6 cm di lunghezza. Seguire i tempi e i gusti con un prodotto apparentemente così basico per la pasticceria non è semplice. Richiede continui test, soprattutto quando si vogliono costruire le varianti. Non faccio cannoncini con crema alla nocciola o al pistacchio, perché così andrei ad aggiungere grasso a una sfoglia già molto grassa, cambiando totalmente il prodotto. Però è diventato anche altro, come una monoporzione-dessert da fine pasto, decorato con crema diplomatica. Da poco ho perfezionato il cannoncino salato, con uno sviluppo in forno leggermente maggiore, non caramellizzato, e una crema pasticcera che non ha zuccheri ma parmigiano, latte, panna, tuorli d’uovo». E.B.

Fabrizio Galla - Pasticceria Cioccolateria di Fabrizio Galla, San Sebastiano da Po

«L’aggiornamento di una ricetta evergreen passa per una giusta attenzione ai gusti del pubblico di oggi, naturalmente: il che significa l’aggiustamento sotto il profilo gustativo, l’eliminazione di una quota di zucchero. Può bastare persino l’aggiornamento della sola confezione o della modalità di presentazione per rinnovare e rinfrescare un dolce che ha un valore durevole. Però se parliamo di un dolce fortemente identitario, di un prodotto che identifica quella pasticceria e il lavoro di quel pasticcere in particolare, il tema degli aggiustamenti cambia. Innanzitutto, penso che se questo dolce non nasce, c’è un problema. Ogni pasticceria dovrebbe avere un riferimento, un dolce identitario, sia esso un cioccolatino, una torta da forno, dei biscotti. Perché le persone devono poterti identificare anche con quel dolce. Certo, deve essere una creazione che non esiste sul mercato, magari basata sui prodotti del territorio. Andare a toccarlo, col tempo, può essere dannoso». Fabrizio Galla ci porta l’esempio della sua torta Jessica, nata nel 2007 per la Coupe du monde de la Pâtisserie e premiata come miglior torta della competizione. Sette strati, dalla cialda croccante alla nocciola, fino alla mousse di cioccolato fondente. Un dolce forte, che ha potuto fregiarsi del titolo di “miglior torta del mondo”. «La ricetta è rimasta la stessa, ho cambiato solo tipo di panna e cioccolato negli anni, valutando che mi trovavo meglio con altri fornitori rispetto a quelli degli inizi. Per il resto nemmeno un grammo di cambiamento, perché ha avuto una tale fortuna ed è talmente legata al mio marchio e alla mia pasticceria che non potrei fare diversamente. Quello che è cambiato è l’approccio commerciale, con la creazione della versione monoporzione e l’evoluzione della presentazione. I primi anni era venduta accompagnata da una piccola brochure con la torta sezionata, poi ho aggiunto una confezione di pregio e le istruzioni per tagliarla». E.B.

Ernst Knam - Pasticceria Ernst Knam, Milano

Pensi a un dolce che si è evoluto oltre i limiti dell’immaginazione e stai pensando alla Tris, la mousse ai tre cioccolati simbolo della produzione pasticciera di Ernst Knam (foto sotto). Dal 1987 compagna di ventura dello chef pasticcere, è l’esempio di come si possa rivisitare un dolce identitario anno dopo anno, adattandone forma e ingredienti, ma mantenendo un legame con le origini. Al tempo stesso, è la prova di come anche un dolce semplicissimo possa diventare “marchio di fabbrica” di un pasticcere, se valorizzato a dovere. «È diventata mitica - ci ha detto Ernst Knam - perché è buona e semplice. Niente di più. Non c’è aggiunta di zuccheri salvo quelli del cioccolato. Una base di marquise (pan di Spagna senza farina), una mousse al cioccolato fondente, una mousse al cioccolato al latte e una mousse al cioccolato bianco. In superficie, dei riccioli di gianduja». Tutta quella semplicità si è evoluta, negli anni, con spin-off e variazioni di forma: cubi, mignon, lingotti, cioccolatini, camouflage particolari del trittico di cioccolati. Fino all’ultimo nato: un dolce denominato Tris Viaggiatore, che ha fatto il suo esordio in primavera nell’offerta della pasticceria di via Anfossi. All’interno, gocce di cioccolato declinato nelle tre differenti varianti che sono il carattere distintivo dello Chef Knam: cioccolato Frau Knam fondente Perù Señorita 72%, latte Perù Pachiza 39% e bianco Bio Vaniglia Tahiti, accostati al gusto di pere semi-candite a cubetti. In superficie una croccante glassa di cioccolato fondente cosparsa di grue di cacao. E.B.

Paolo Sacchetti - Pasticceria Nuovo Mondo, Prato

«Premetto che sono da sempre un “custode” della tradizione, sono convinto che le mode vanno e vengono, ma i dolci classici restano. D’altro canto basta vedere cosa accade nella pasticceria francese: già 3 o 4 anni fa, all’apice del successo delle torte moderne glassate, i pasticceri d’Oltralpe hanno iniziato a riprendere i loro dolci classici, rinverdendone l’immagine e il successo. L’esempio più chiaro è la millefoglie: difficile migliorare la ricetta se è fatta come si deve, ma è bastato proporla in verticale ricoperta con una ganache montata alla vaniglia, per farla diventare trendy. Va da sé che il dolce deve essere buono, il che significa qualità di ingredienti, maestria di lavorazione e freschezza del dolce. E poi deve essere un prodotto che sia su misura sulle necessità del cliente, che spesso - se non quasi sempre - acquista un dolce per una ricorrenza e vuole fare bella figura, andare sul sicuro. Questa esigenza fa sì che vengano richieste ricette classiche, che soddisfano un po’ tutti. In vetrina per attirare puoi mettere prodotti creativi, ma alla fine - come in gelateria - quello che fa cassetto sono i grandi classici. Che però vanno reinterpretati, magari con una forma differente o una decorazione nuova, ma senza toccare i gusti fondamentali. Serve fantasia, ma anche misura, un concetto chiave a mio avviso è non ingannare mai il cliente: se proponi una torta Mimosa deve esserci il Pan di Spagna, non basta una glassa gialla. Lo stesso dicasi per la Pesca, il mio dolce più iconico. Ci ho lavorato molto, ho affinato la ricetta arrivando a quello che per me (e i miei clienti) è l’equilibrio fra tre componenti: la pasta brioche, l’inzuppitura di Alkermes e la crema pasticcera. Ormai è diventata un brand e la ricetta non si tocca, semmai si prova a farne versioni differenti, come la Pescamisù o la Pesca salata che proporremo in autunno. Squadra che vince non si cambia». M.B.

Alex Servida - Pasticceria Alessandro Servida, Pantigliate e Milano

«Il restyling degli evergreen della pasticceria è una cosa a cui mi sto dedicando da diverso tempo e credo che sia una tendenza quanto mai attuale. Dopo un periodo in cui il consumatore ha amato provare dolci d’avanguardia, in questo momento ha voglia di tornare a gusti rassicuranti e di sicuro gradimento. Sta a noi professionisti renderli attuali sia a livello estetico che di consistenze, mantenendo però elementi chiave che si rifanno al dolce “classico”, senza estremizzare o snaturare la specialità originale. Il gioco sta nelle consistenze e soprattutto nella presentazione, che è quella che colpisce al primo sguardo. Faccio un esempio che ha un ottimo successo: ho ripreso la ricetta della classica Millefoglie, ma la servo in un vasetto che contiene pasta sfoglia, crema pasticcera e chantilly. Sono le classiche componenti del dolce, che però in questa versione trovano un modo di consumo del tutto nuovo, con la sfoglia che diventa come una sorta di cucchiaino da intingere nelle creme. Ma di evergreen possiamo parlare anche quando si parla di un dessert che identifica in modo speciale un pasticcere. Nel mio caso, la torta Donatella, dedicata a mia moglie. È un dolce molto richiesto e sempre presente nei miei due locali, è diventato un mio personale classico ed è importante che sia sempre uguale a se stesso. Magari ho cambiato delle tecniche di produzione, ma soprattutto a livello estetico non va stravolto, per essere ben riconoscibile dal cliente». M.B.

Ernesto Brambilla e Marina Bellati

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