1 di 4   Davvero un ottimo candidato per affrontare il tema della pasticceria nella ristorazione e confrontarla con il lavoro in laboratorio: Andrea Tortora, maestro Ampi, classe 1986, è pastry chef al St. Hubertus, ristorante gourmet del Rosa Alp

 

Davvero un ottimo candidato per affrontare il tema della pasticceria nella ristorazione e confrontarla con il lavoro in laboratorio: Andrea Tortora, maestro Ampi, classe 1986, è pastry chef al St. Hubertus, ristorante gourmet del Rosa Alpina Hotel & Spa di San Cassiano in Alta Badia, appena entrato nella ritretta cerchia dei ristoranti tre stelle Michelin italiani e che questo mese riaprirà le sue porte per la stagione invernale. Alle spalle Tortora ha infatti ha ben quattro generazioni di pasticceri “tradizionali”: «Mio bisnonno, mio nonno e mia madre hanno gestito fino a metà anni Novanta la pasticceria Alberti a Cremona in via Toriani», ci racconta in occasione della nostra visita durante l’apertura estiva del ristorante.

Un mondo a parte, quello che cura l’offerta di pasticceria nei grandi ristoranti, di regola in combinata con uno chef di primo piano. Nel caso di Andrea si tratta di collaborare con Norbert Niederkofler, chef del St. Hubertus e fiero sostenitore di una cucina di montagna, con materie prime a origine rigorosamente sopra i 600 metri di altitudine. «All’estero la posizione del pasticcere è allo stesso livello se non più alta dello chef di cucina. In Italia è una posizione sotto lo chef, solo i ristoranti che possono pagare una posizione alla pari e che hanno una struttura in grado di ospitare le esigenze di un pasticcere lo mettono in squadra. Un piccolo angolo e un forno in comune con la cucina non bastano: serve spazio e le attrezzature per dare il massimo valore al prodotto», spiega Andrea, in questo campo da quando aveva 17 anni.

«Il lavoro in laboratorio è organizzato a reparti: chi fa gli impasti base, chi la sfoglia, chi la finitura, un tot di persone per reparto secondo la grandezza. Ognuno per mesi ripete le stesse operazioni e certamente diventa abilissimo. In ristorante è tutto diverso: noi siamo cinque me compreso, serviamo il St. Hubertus, un bistrot da 200 coperti a pranzo più 200 a cena, un ristorante ladino con un’offerta molto particolare, la colazione per 120 persone ogni giorno, la selezione di dolci e cioccolateria per il bar, le welcome amenities in camera per chi arriva, i cadeau di buon viaggio per chi ci saluta - un piccolo strudel di mele. Serve una grandissima flessibilità per le esigenze dell’hotel, ognuno di noi cinque ha le sue routine ma serve molta più elasticità e flessibilità. Non direi che c’è meno specializzazione, padroneggiamo più tecniche ed è un vantaggio». La sfida più importante è il confronto con lo chef, e non a caso Tortora utilizza più volte la parola “collaborazione”. «La mia libertà è totale, anche perché abbraccio la sua idea di cucina di montagna: stagionalità rigidissima e materie prime da fornitori selezionatissimi, inclusa una rete di circa 35 agricoltori e produttori dell’Alto Adige. Il rapporto è in sintesi questo: quanto alla tecnica si fida di me, su gusto ed estetica ci siamo allineati dopo i primi anni e ora so che cosa vuole. Il dolce, in un ristorante stellato o più in generale in una carta di qualità, è fondamentale: può salvare la serata se qualcosa non è andato alla perfezione durante la cena».

 

Foto: Daniel Töchterle

 

ernesto brambilla

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