La Sardegna è probabilmente, tra le regioni del Mediterraneo, quella che vanta una tradizione dolciaria tra le più ricche e variegate, anche se in buona parte ancora poco conosciute e reperibili al di fuori dell’isola. A questo particolare filone della

La Sardegna è probabilmente, tra le regioni del Mediterraneo, quella che vanta una tradizione dolciaria tra le più ricche e variegate, anche se in buona parte ancora poco conosciute e reperibili al di fuori dell’isola.

A questo particolare filone della tradizione gastronomica sarda, è dedicato il volume di Giovanni FancelloDurches. Un viaggio nella storia dei dolci dall’antichità ai giorni nostri”, edito da Arkadia editore. «Ho voluto scrivere un libro su questo tema per colmare un vuoto che dura da secoli - dice l’autore. «Al di là delle citazioni dei semplici nomi delle specialità nei grandi classici libri, mancava un testo che raccontasse la storia, gli ingredienti e l’origine dei dolci più caratteristici».

Per trovare le prime ricette scritte di dolci sardi sotto forma di disciplinare in Italia bisognerà aspettare gli inizi del ‘900 con la pubblicazione del volume “La nuova cucina delle specialità regionali” di Vittorio Agnetti. «Quello della trasmissione di questo genere di saperi è un problema che non riguarda solo la codifica delle ricette, ma anche la loro trasmissione alle generazioni future», spiega Fancello. In Sardegna infatti non esistono scuole o corsi regionali dedicati all’insegnamento della pasticceria tradizionale sarda, che se si è conservata fino ai giorni nostri è solo grazie alla buona volontà degli artigiani “custodi”, spesso molto anziani, e al desiderio di impararne i segreti da parte dei loro “discepoli”- allievi. 

A parte le seadas, i savoiardi, conosciuti in Sardegna con il nome di biscotti di Fonni, gli amaretti e il Torrone, molte altre specialità nel “continente” restano sconosciute e di difficile reperibilità. Giovanni Fancello sottolinea l’importanza di mantenere la denominazione sarda dei dolci: «Bisogna evitare di usare quello che qui in Sardegna chiamiamo l’Italianu porcheddinu, ovvero l’italianizzazione delle diverse specialità», afferma.

I dolci sardi accompagnano ogni giorno di festa del calendario religioso, con specialità che spesso cambiano nome e ricetta da una provincia all’altra; segnano l’alternarsi delle stagioni e i cicli agricoli dalla semina al raccolto, ma anche i riti di passaggio della nostra vita, dalla nascita fino alla morte, passando per il battesimo e il matrimonio. I dolci sardi hanno quindi un forte valore simbolico e un rituale che si è conservato fino ai giorni nostri.

Nel libro troviamo diverse citazioni di dolci tradizionali, ma non le ricette: «Il pistiddu ad esempio è una frolla invernale ripiena a base di vincotto, scorza di arance e miele racchiuso in una elegante scocca decorata a mano. Le tiliccas sono invece sottilissime corone di sfoglia che racchiudono una farcia di sapa, uno sciroppo d’uva che si ottiene dal mosto». Particolarmente apprezzate anche dai turisti le pardulas o casadinas, un dolce pasquale farcito con ricotta di pecora o pecorino fresco, uova, zafferano o scorze di agrumi e talvolta di uvetta. Mentre i papassinos sono i dolci della festa di Ognissanti, un delizioso impasto di uova, noci e uvetta arricchito, ricoperti nella versione più raffinata da una glassa all’anice, ottimi a colazione.

Sulle origini e le contaminazioni dei dolci sardi Fancello non ha dubbi:«Grazie agli scambi commerciali e culturali con le diverse sponde del Mediterraneo i dolci tradizionali sardi hanno saputo fare tesoro degli ingredienti, delle tecniche e delle visioni di altre civiltà, spaziando dalle tradizioni dell’antica Grecia fino a quelle arabe, maghrebine e spagnole».

Oggi come un tempo i dolci sardi si possono dividere in due grandi famiglie, quelli a base di farina di grano e quelli a base di pasta di mandorle. Mancano totalmente i dessert al cucchiaio, il cacao, il cioccolato e le creme, per ovvi problemi legati alla loro conservazione, un tempo problematica. La fanno invece da padrone il miele (mele) e lo zucchero (tucaru), un numero limitato di spezie, come l’anice, l’anice stellato, la cannella e lo zafferano, aromi come l’acqua di fiori d’arancio e tanta frutta secca: mandorle, noci, pinoli, pistacchi, nocciole, uva passa. Per questi ultimi ingredienti sono evidenti i legami con la pasticceria arabo-maghrebina, che se rendono simili alcuni sapori alla pasticceria orientale, differiscono profondamente da questa nei dolci fini (durches finos), riservati alle occasioni speciali, per le loro raffinatissime decorazioni a base di glassa a puntu e intagli.

Alcuni dolci come i candelaus o i coricheddos sono delle autentiche opere d’arte in miniatura e richiedono la conoscenza di tecniche trasmesse di generazione in generazione dalla Maista Manna, ovvero la “Grande Maestra”, colei che custodisce questi antichi segreti, poiché non esiste una sola scuola in tutta l’Isola che tramandi questi saperi!

Chef Kumalé

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