La terra delle opportunità non è più sconfinata e ora va misurata attentamente. Parliamo della Germania, un mercato che ha permesso a tanti gelatieri italiani di costruire business importanti. Un flusso di migranti partito addirittura nel 1850, poi for

La terra delle opportunità non è più sconfinata e ora va misurata attentamente. Parliamo della Germania, un mercato che ha permesso a tanti gelatieri italiani di costruire business importanti. Un flusso di migranti partito addirittura nel 1850, poi fortunatissimo nel dopoguerra. «Oggi, però, non c’è più spazio per il migrante con la valigia», avverte Eliomaria Narducci, segretario generale della Camera di commercio italiana a Francoforte. «Perché il mercato va approcciato in modo del tutto diverso».

Stando ai numeri, la Germania è in vetta in Europa. Secondo l’Ufficio centrale di statistica, nel 2017 la Repubblica federale ha prodotto 517 milioni di litri di gelato, con un ricavo oltre i due miliardi di euro. Superata anche l’Italia, con i suoi 511 milioni di litri. Sul territorio ci sono circa 9 mila gelaterie. Secondo una ricerca Sigep-Pwc del 2016, più della metà del gelato artigianale è consumato da persone di mezza età o più anziane (over 45). Circa il 45% è consumato da chi ha molto tempo libero a disposizione (più di 7 ore al giorno). Il 73% viene consumato nelle zone urbane. I tedeschi preferiscono sedersi in gelateria e gustare grandi coppe, anche elaborate, piuttosto che mangiare un cono per strada. La Camera di commercio italiana ha mappato 50 catene di gelaterie presenti su tutto il territorio tedesco. Un ricerca che viene presentata a Sigep nell’ambito del convegno “Going Global: focus Germania”, lunedì 21 gennaio alle 14.30, organizzato con la media partnership di Dolcegiornale.

«Esaurita la spinta delle prime generazioni di gelatieri migranti dall’Italia», spiega Narducci, «i figli non si sono più voluti sentire “solo” dei gelatieri, come era per i padri, ma dei tedeschi al 100%. L’impresa dei genitori è spesso considerata un’isola in cui non rientrare, perché legata a cultura e schemi diversi, superati. Raramente sono entrati modelli manageriali nelle gelaterie di origine italiana, rimaste piccole e ancorate al glorioso passato». Manca un’altra cosa: il personale italiano. «Prima era necessario, ora ci si appoggia a maestranze stagionali di altri Paesi, in prevalenza portoghesi e turchi. La conseguenza è la diluizione della cultura aziendale. In più le maestranze imparano a fare il gelato e spesso aprono loro stesse gelaterie o catene di successo».

Insomma, ha ancora senso guardare oltre le Alpi come ad una opportunità? «Dipende», spiega l’esperto. «Teniamo presente alcuni punti fermi. Primo, manca lo spazio intermedio. In Germania ci sono poche grandi città e tanti piccoli centri urbani. O si è piccoli, a dimensione familiare, o si è un’azienda managerializzata che riesce a gestire più pdv. Secondo, bisogna saper parlare con manager del settore immobiliare di alto livello se si vuole aprire nel centro città o in aeroporto o in un centro commerciale. Terzo, i piccoli punti vendita nelle cittadine probabilmente danno le maggiori soddisfazioni, ma il territorio è ben coperto e l’idea di nuove aperture è peregrina. Una opportunità può esserci nel rilevare gelaterie avviate: ci sono realtà esistenti che vanno soltanto rilanciate».

 

Ernesto Brambilla

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